I volontari della Diaconia Valdese all'estero

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Germania! – Reloaded

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Visita alla SWR, la più grande emittente radiotelevisiva del Baden-Württemberg. 

Dunque. Dove eravamo rimasti?

Ah già, vi parlavo, a grandi linee, di come mi stavo ambientando in questo posto nuovo, a fare un lavoro nuovo con persone nuove.

Vi parlavo anche, sempre a grandi linee, dei perché e per come faccio quello che faccio.

Oggi però, a distanza di qualche mese, mi sento ispirato per aggiornarvi e scendere un po’ più nei dettagli.

Bugia. In parte.

Davide, il mio successore, mi ha scritto chiedendomi di ogni, riguardo questo progetto.

Massimo, dalla Diaconia, ha scritto a tutti noi volontari per sollecitare l’aggiornamento del blog.

Quindi, resto fedele alla linea del 2in1.

Finalmente ho portato il mio tedesco ad un livello decente, diciamo un A2, che mi permette di esprimermi e di capire gli altri. Almeno finché si resta nella conversazione base.

Questo è un risultato importante perché mi permette di portare questa esperienza allo step successivo. Cioè posso relazionarmi direttamente con chi parla solo tedesco senza bisogno di un’interprete (al massimo con dizionario alla mano) e posso, di conseguenza, avere maggiore autonomia nel lavoro e un raggio di azione più ampio in generale.

In ufficio, ad esempio, ho avuto il via libera per ritagliare, nelle attività in programma, degli spazi da dedicare all’up-cycling (un hobby che ho scoperto nel 2007, quando ancora non sapevo di questa definizione) e alla trasformazione in orto del giardino sul retro (un hobby che ho scoperto praticamente ieri l’altro).

E’ da un paio di settimane che ho preparato il materiale per la prima sessione di up-cycling, da fare con il gruppo del DOnnerstagTREFF, ma il bel tempo mi rema contro. E onestamente non mi dispiace più di tanto.

Nel frattempo ho cominciato a predisporre l’orto e sto cercando di conquistare più fiducia dei ragazzi che fanno parte di questo gruppo (che sono quelli con cui ho un rapporto più stretto, dato che ci vediamo ogni settimana), adesso che ho superato la mia disabilità linguistica. Mentre i partecipanti alle altre attività li vedo con minore frequenza e alcuni, addirittura, li vedo solo durante i Freizeit (i viaggi che organizziamo).

Per chiudere l’argomento, ci tengo a sottolineare che si, ovviamente, il team di cui faccio parte non è immune dalle dinamiche di gruppo, simpatie/antipatie, etc…ma è ormai consolidata in me l’opinione che questo sia un lavoro decisamente molto molto bello.

Tenendo sempre in considerazione, inoltre, che il programma del Freiwilliges Soziales Jahr mi permette, dal punto di vista economico, una certa tranquillità. Non dovendo preoccuparmi di affitto, bollette e alcune spese di trasporto, infatti, con 410€ al mese netti mi nutro, mi concedo qualche sfizio e m’avanza pure qualcosa. Con la complicità di alcuni cambiamenti nel mio stile di vita, certo.

Cambiamenti che si ripercuotono principalmente nella sfera del tempo libero.

Novità decisiva a questo proposito: ho cominciato da un paio di mesi a fare “wwoofing”!!

Nessuna “crisi di identità specistica”, tranquilli. Wwoofing viene da W.W.O.O.F. che sta per Willing Workers On Organic Farms.

In particolare ho conosciuto, grazie a questo network, due famiglie.

Nella prima, la famiglia Vollmer, sto offrendo le mie braccia per imparare l’arte casearia, che loro mi insegnano con piacere e tanta pazienza, vista la mia inesperienza totale.

Grazie alla seconda, la famiglia Carr, mi sto facendo invece, oltre ad un mazzo tanto, una cultura incredibile (relativamente alle mie conoscenze pregresse) su quel che riguarda il giardinaggio, l’orticultura, la permacultura e tutto quello che, ad ogni modo, ha a che fare con le piante. Quindi, di solito, le nostre conversazioni partono dal basilico biologico e arrivano agli ogm, alle monocolture, all’industria alimentare, Monsanto, corporations varie, cambiamenti climatici, sovrappopolamento, geopolitica, ingegneria sociale, società civile, o incivile, essere, o non essere, e anche un pizzico di fantascienza. E, in più, tengo in allenamento il mio inglese, che è la loro lingua madre.

Quello che mi entusiasma di queste esperienze è l’equilibrio.

Mi spiego meglio:

  • Dal canto loro, hanno seriamente bisogno di una mano, perché la scelta di un certo stile di vita è difficile e, a seconda delle circostanze, può essere davvero dura (adesso posso dirlo con cognizione di causa).  E amano parlare.
  • Dal canto mio, sento seriamente il bisogno di dare un senso diverso al tempo libero, di sfruttarlo al massimo. Ne ho ammazzato così tanto finora che mi sento quasi in dovere di rimediare, mangiandone grandi bocconi. E preferisco ascoltare.

La soddisfazione che deriva dall’autoproduzione è un qualcosa che nessuna droga, legale o illegale, fra quelle che ho provato, mi è mai riuscita a dare. Ve lo dico senza timore.

Quando l’effetto finisce e devo tornare alla realtà li ringrazio con il cuore in mano. Loro ringraziano me. E ci salutiamo con un sorriso sincero.

 Questo è il volontariato. Un rapporto biunivoco. Una partita doppia in cui il bilancio è sempre e comunque in attivo. Perché ne usciamo tutti più ricchi.

(Ai cinici, che già vedo con la critica sulla punta della lingua, a sputare con sufficienza che questa è solo retorica e bla bla bla…vorrei dire soltanto che mi dispiace per loro. Anch’io ho dei problemi, sia chiaro. Ma il cinismo, la disillusione, la perdita di speranza…sono brutte bestie.)

Poi va bé, il tempo per una birretta con amici di città o persino per andare a ballare ogni tanto, lo trovo. E quando lo trovo me lo godo molto,  molto di più rispetto ai tempi in cui era la routine.

Ma quel che più conta, alla fine, è che quando poggio la testa sul cuscino, l’eco dei miei sogni arriva fino in capo al mondo.

Tante care cose a tutti

GianBio

Germania!

Un anno fa, pensando al mio futuro, mai avrei immaginato di trovarmi qui, adesso, a lavorare come volontario nel parallelo tedesco del nostro Servizio Civile Nazionale.

Perché ho ereditato dalla Storia questa leggera antipatia, diciamo appena sottopelle, verso i Tedeschi. Perché dovevo farlo in Italia il Servizio Civile, appena finita la triennale, ma non ho potuto per via della Spending Review, di cui all’epoca incolpavo “La Germania a capo dell’Europa”. Perché il mio obiettivo era il Sud America…

 

Eppure sono qua. Un po’ per le circostanze, un po’ per le coincidenze, insomma, un po’ per caso. E ci sto bene.

La mia lentezza si sposa perfettamente con i ritmi di un paesino da mille anime. Ho accettato il progetto anche per questo. Nonostante una centrale nucleare a 10km e una zona militare che prende gran parte del bosco dietro casa, sono comunque alle porte della Foresta Nera, che di attrattive me ne offre più che abbastanza, nonché molto vicino ad un paese e non lontano da una città.

Il lavoro è quello che cercavo, quello che vorrei fare anche a casa mia, un domani. Solo vorrei poter imparare la lingua più velocemente, per rendere la mia esperienza completa al 100%.

I dubbi sono sempre lì, dietro la porta, che aspettano il minimo spiraglio per entrare e precipitarmi nello sconforto. Ma da tempo ormai ho imparato a tenerli sulla soglia, semplicemente assumendo le responsabilità derivanti dalle mie scelte. Che siano giuste o sbagliate non lo saprò mai, ma già so che sono le scelte che ho sentito mie nella loro ora, e tanto mi basta. I dubbi, alla fine, mi fa piacere saperli lì. Mi danno sicurezza.

 

Sono contento di vivere per la prima volta fuori città. Il silenzio, l’assenza di fretta, la qualità dei rapporti, la loro quantità, il tempo e lo spazio. Tutto è diverso. Non so dirvi quale dimensione sia migliore. Posso solo dirvi che questa mi piace molto. Anche se, almeno finora, sono ancora lontano dall’idea di comunità che mi ero fatto prima di partire. Si, i vicini sono tutti cortesi e sorridenti quando li incontro. Alcuni mi hanno fatto partecipare alla vendemmia. Una famiglia mi rifornisce ogni settimana di verdura, pane e uova di loro produzione. Altri mi hanno praticamente regalato una bici (che mi è stata prima rubata in stazione, con mio immenso disappunto, e poi ritrovata con un certo stupore). Ma mi sento ancora un corpo estraneo, e forse è giusto così.

 

Quello che davvero apprezzo della vita qui è l’estrema facilità con cui riesco a ritagliare i miei spazi. Grazie anche al fatto che il mio coinquilino, un altro volontario tedesco, non è quasi mai in casa.

Mentre la vita di città mi sommergeva di input che mi tenevano sempre nella condizione di doverli rincorrere, qui i ruoli sono cambiati. Ho il tempo di considerare, valutare e scegliere gli input che più mi interessano, ma soprattutto la possibilità di adattarli alle mie esigenze. Ecco, in poche parole, qui mi sembra di avere più tempo.

 

Il lavoro è perfetto. Innanzitutto, è a un minuto da casa. Poi, se anche la base è un ufficio, passo poco tempo seduto davanti ad un computer.

La nostra attività consiste nel programmare e gestire il tempo libero delle persone con disabilità che vivono nella zona. Quindi se la programmazione e la preparazione avvengono in ufficio, la gestione delle attività ha luogo fuori, in altre strutture o all’aperto, a seconda della stagione, del meteo e del programma appunto. Programma che gira intorno a quelle che sono vere e proprie vacanze (dal week- end alle due settimane, solitamente in pieno inverno, in primavera ed estate), passando per attività settimanali, bisettimanali o mensili. La mia prima “vacanza” sarà all’inizio del nuovo anno, con partenza il primo gennaio (sti Tedeschi!!!) per la Svizzera.

 

Lavorare nel mondo della disabilità è una scelta che ho fatto l’anno scorso, più o meno in questo periodo. Forse un investimento poco razionale, visto che ho studiato Economia, eppure mi sta ripagando degli interessi eccezionali.

Se gli studi sulla cooperazione internazionale allo sviluppo mi hanno aperto gli occhi sul mondo, le esperienze con persone disabili mi hanno aperto gli occhi su me stesso.

Se da un lato il riconoscimento delle mie grandi fortune è un peso nuovo con cui convivere, dall’altro è uno stimolo forte e genuino.

Il volontariato in generale è qualcosa che mi ha sempre arricchito e dato soddisfazione, in qualsiasi progetto o campagna abbia partecipato.

Ma lavorare con queste persone mi mette anche davanti all’importanza dell’inclusione sociale.

Un concetto la cui valenza va tanto oltre le semplici definizioni da libro di testo. E che ovviamente riguarda non solo le persone disabili, ma anche i migranti, i tossicodipendenti, gli emarginati e tutte le persone che si trovano a vivere in condizioni di debolezza e di svantaggio.

Un concetto ancora molto giovane, purtroppo, ma che proprio per questo, forse, troverà la vitalità e l’energia per farsi largo in questi tempi bui.

Un concetto che, devo ammetterlo, ho piuttosto sottovalutato finora.

 

Un società che non accetta le differenze, che non le valorizza, mettendo l’abilità dei forti al servizio dei deboli e la sensibilità dei deboli al servizio dei forti, è una società destinata a farsi del male.

Con l’ecosistema prossimo al collasso (da Settembre 2012 la Terra non è più in grado di rigenerare le risorse che consumiamo), barricarsi nelle classiche divisioni sociali, convincersi che la colpa della crisi sia delle banche o delle istituzioni internazionali o della politica o della classe dirigente per farla breve, da un lato, e continuare a credere che i lavoratori siano e resteranno sempre dei semi-automi, privi della capacità di intendere, di volere e di sognare un futuro migliore per se stessi e per i figli a venire, dall’altro, è un suicidio di massa.

 

Ma tralasciando un attimo la società, che rimane qualcosa di troppo grande e complicato per la mia comprensione, quella che diventa sempre più chiara è la marea di opportunità che ho la fortuna di avere per fare qualcosa di buono, vivere una vita piena di soddisfazioni e non fare danno alcuno intorno a me. Nonostante tutte le tristezze e le brutture che mi circondano.

E’ una strada sulla quale è davvero molto facile inciampare. Ma preferisco camminare a testa alta e ritrovarmi ogni tanto per terra, piuttosto che vivere a testa bassa.

 

E vivere a testa alta significa anche poter guardare chiunque alla pari, senza né soggezione, né presunzione.

Riconoscere che siamo solo sfumature, tutti indistintamente. E che bisogna rinunciare alla propria importanza personale per poter ammirare il quadro in tutta la sua bellezza.

Archiviare una volta per tutte la nostra irresistibile propensione al giudizio, superando il nostro debole per il pregiudizio che, per citare un’amica, “è l’analfabetismo dell’anima”.

Gianluca